L’accompagna la luna

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1° premio Premio Dragut 2013

La foto rappresenta, com’era, l’angolo di scogliera che ha ispirato il racconto.  Scauri di Minturno (LT)
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Eccola!

L’attendo su questo scoglio, poi apparirà da dietro l’angolo, come se giocasse con me a nascondino. Invece, aspettava che il sole e tutto intorno tornasse a riposare.

Oggi è grande e piena, colora le onde che pian piano carezzano gli scogli.
Sembra che tutto si sia fermato lasciando che i giochi di luce abbiano il sopravvento.
Una spinta, slaccio il nodo e la barca si stacca dal molo.
Poi i remi rumoreggiano, quasi un fruscio, per non disturbare.

Ricordo bene. La scogliera, alla vista, doveva diventare piccola. Allargo la mano come se fosse una pistola e misuro. «Costeggiamo il monte. Poi misuriamo la scogliera. Con la tua mano, la vedi che deve stare tra la punta del pollice e dell’indice. Poi tre remate e ci fermiamo. E la corrente ci spinge piano. Ci lascia calare le esche. Ci fa muovere il giusto per ingannare i pesci.» Così mi diceva Totonno. Ora la mia mano è più grande, perciò le ultime volte che attraversai quel tratto osservavo il monte che ci sovrastava. Avevo imparato, quando si vede la torre, quella in cima, conto le spinte dei remi.
Poi, superato l’ingresso della grotta, sotto l’estrema punta del promontorio, sollevo i remi e li poggio in barca. Lui faceva così.
Ora la luna sembra nascosta. Il monte scuro e la sua ombra nel mare danno un po’ di paura. Lì, più avanti, invece, c’è luce, il mare è calmo, la luna piena e sdraiata. Pronta, ora arriverà la barca, strapperà il disegno, la geometria tonda e oscillante. Poi ferma, coglierà la presenza della luce. E tutto si quieterà.
Sapevo come far arrivare la barca fino alla spiaggia con i sassolini, senza remare. Da lì, dove ora la lasciavo andare, l’avrebbe presa la corrente.

Totonno, l’avevo incontrato la prima volta, quando, piccolo, correvo tra quegli scogli; calmo, stendeva le reti sollevandole e girandogli intorno. Le osservava, meticoloso, togliendo un’alga che si era bloccata tra i fori, cercando fino alla soddisfazione che tutto fosse a posto.
Altrimenti prendeva un sediolino che aveva nel casotto, montato sotto il monte che sovrastava la scogliera. Insieme, prendeva una cesta con tutto il necessario per riparare lo strappo. Poi, preciso, lavorava come fosse una ricamatrice. Si alzava soddisfatto.
Quella volta rimasi a osservarlo fino alla fine. Dopo aver posato gli attrezzi, ormeggiato la barca, si avvicinò a un’insenatura tra gli scogli e tirò su un pezzo di rete fatto a mo’ di sacco. Conteneva l’avanzo della pesca, dopo la vendita. Raggiunse il suo capanno: uno stanzino, dove tutto in ordine calmava qualsiasi ansia. Già, perché lì c’era tutto ciò che servisse a pescare.
Il tetto sporgeva, così quando il sole era alto e caldo, l’ombra copriva il tavolo e le due sedie che lo circondavano.
Quella volta si sedette, dopo aver preso una ciotola, uno scolapasta e una pentolaccia. Poi con un paio di forbici, lento, tagliò le pinne, incise nel ventre dei pesci e con mosse precise li liberò dalle interiora. Infine, con un coltello a serramanico, che portava nella tasca dei pantaloni, squamò tutti i pesci. Fu allora che forse mi notò; seduto su una barca tirata a secco, con le mani sul viso e i gomiti poggiati sulle gambe.
«Vieni qua.»
Corsi come se attendessi quella chiamata; invece ero solo spettatore. Di calma e pace. C’era gente, era estate, ma lui sapeva circondarsi di calma e far assaporare la pace della mente. Sembrava che il suo mondo fosse il mare, la casupola, le poche parole con il conoscente di passaggio sotto la pennata o mentre armeggiava intorno alla barca. Quando controllava le reti, invece, bisognava aspettare.
Non ho mai saputo da dove fosse venuto e a quale famiglia appartenesse. Non si era mai sposato. Eppure era giovane, forte, credo anche fascinoso per le donne. Le osservavo, quando abbronzato metteva in mostra il fascio di muscoli sotto quella folta capigliatura nera; notavo i loro sguardi. Poi chissà perché smettevano d’osservarlo. Sapeva parlare poco, forse impedito. Mai lo dava a intendere. Qualcuno diceva che “è così” come a dire un po’ matto. Però ascoltava. Poi, poche parole, quelle giuste.
Quella volta che lo conobbi mi invitò a pranzare con lui: «Sei girovago e i tuoi lo permettono. Qui non c’è d’aver paura». Era stato attento le volte che avevo passeggiato da quelle parti con i miei genitori. Mi lasciò osservare mentre cucinava, accorto a rimestare i pesci messi una alla volta, rispettando la consistenza.
Prima i tosti, grassi e brutti. «Perché so’ stronzi» disse mentre calò uno scorfano. Poi i piccoli e i delicati. Li poggiava adagio nel sugo cotto il tanto che bastasse all’aglio d’insaporire il pomodoro messo fresco. Aggiunse anche due piccoli granchi, un calamaretto e delle telline con qualche cozza. Poi tutto diventò sempre più liquido. Infine mi mise davanti un piatto largo con al centro una fetta di pane raffermo arrostito sul fornello; sopra versò il sugo con i pesci.
Durante quel pranzo raccontai della scuola e del tentativo di pescare che mi dava solo sconforto.
«Puoi venire con me domani.» Non dava mai un ordine, se lo sembrava per lui era solo un’affermazione.
Così diventammo amici; si parlava e pescavamo. Anzi, io parlavo. Lui silenzioso aspettava le mie pause e spiegava di filo, ami, reti e pesci; poche parole e solo quelle che servivano. Ogni estate aspettava che tornassi in villeggiatura. Lui iniziava il primo incontro con la solita domanda «La scuola?»
Ascoltava i miei successi, poi contento s’incamminava verso la barca, senza altre parole. Arrivavo sempre attrezzato, allievo, ma esperto. Prima di salire in barca, controllava la mia attrezzatura: l’amo, il nodo e la corda scelta, poi mi dava una scatola di pastura e piccole alici per infilarle sugli ami.

Ora la barca scivola e la corrente la raddrizza accompagnandola per la sua strada. Così desiderava che accadesse. Ero già sceso e saltato sugli scogli. Ora la barca va, solitaria.

Me lo disse durante una sera tarda di un’estate stanca e conclusa. Il mare calmo, catturava tutto l’intorno senza indugio, come specchio di ciò che accadeva: la forma oscillante di una coppia abbracciata, geometrie di luci da lidi sonori, scherzi di stelle e l’ombra solenne del monte che scendeva ripido nell’acqua. E lì comparve la luna tonda e luminosa come questa sera.
Gli chiesi: «Hai paura della morte?»
Mi osservò silenzioso, poi una smorfia trasformatasi in sorriso.
«La devi conoscere. Poi sai che c’è, essa aspetta senza che tu possa fare altro. A volte ti si avvicina, così ti prepari. Non ti accorgi se eviti il trabocchetto che ti ha preparato. Sembra che in quel momento tieni coraggio.»
Lo guardai perplesso, pronto a correggerlo.
E lui: «Tieni. Lascia sta’ come si deve dire. Perché quando essa s’avvicina, spesso il coraggio non ce l’hai. Che sia il mare che s’incazza o che t’accada qualcosa che non t’aspettavi. Allora, o scappi e così avrai sempre paura di essa e di tutto, o pigli ‘o coraggio e lo tieni, e lo usi. Così la morte diventa compagna. Carogna, ma compagna.»
«Chi sono i tuoi parenti?»
«Il mare.»
«Sei sempre solo.»
«Il tempo l’uso tutto. Ora sono con te.»
«Ma la sera sei solo. Non c’è nessuno con te?»
Mi osservò silenzioso.
Poi: «Guarda.»
E con la mano indicò il mare illuminato dalla gran luna: «Sai, mi piacerebbe che alla fine ad accompagnarmi fossero il mare e questa luna.»

Erano anni che non tornavo da quelle parti. Desideravo fargli conoscere mio figlio.
Il capanno era il suo spazio vitale e quando il tempo era terribile si rintanava in un piccolo appartamento di una casa popolare. Quando l’autunno dava il passo al freddo diventava il suo rifugio.
Lo trovai lì, dopo averlo cercato in spiaggia. Non lo vedevano dal giorno prima. Ormai andava poche volte a pescare.
Non chiudeva mai la porta quando era in casa. Così entrai. Era con la faccia appoggiata sulle braccia conserte, sul tavolo della cucina. Sembrava riposasse.
«Dorme» dissi a mio figlio, incoraggiandolo a raggiungere la mamma.
Pulii il tavolo, misi ordine. Andai al capanno. Preparai la barca come mi aveva insegnato. Aspettai la luna e poi la notte fonda. Ritornai. Lo trovai ancora come l’avevo lasciato. Sembrava riposasse.

Ora la barca va. L’accompagna la luna.